Degne o indegne. Ma agli occhi di chi?

Lea Melandri

 

Nella condanna dell’azione deprecabile di don Piero Corsi, parroco di San Terenzo, sono state giustamente messi in evidenza la responsabilità individuale e le ragioni psicologiche che possono averla provocata. Non si può tuttavia far finta che le sue semplici, deliranti considerazioni sui fattori che possono scatenare la violenza maschile non abbiano un corrispettivo nell’idea che la religione cattolica e il senso comune che ne è impregnato  -ma in generale la nostra civiltà greco-romano-cristiana e tutte le civiltà- hanno della donna, del corpo e della sessualità.

L’ambiguo sentimento di amore e odio, su cui la cultura dominante da secoli ha costruito la figura femminile, ha fatto sì che sia ancora difficile distinguere gli adoratori dai denigratori della donna, riconoscere nell’assunzione al cielo della Vergine Maria la riparazione della colpa originaria di Eva, dietro la dignità della madre e della moglie l’infamia della prostituta e della ribelle. Non mi ha stupito perciò il fatto che don Corsi abbia citato la Mulieris dignitatem, una lettera pastorale delle più misogine, e che le consigliere del Comune di Lerici, nel loro comunicato stampa, abbiano al contrario elogiato il papa che l’ha firmata, Giovanni Paolo II, come estimatore della missione civilizzatrice della donna.

Non ho potuto fare a meno di leggere alcune frasi del volantino che ha suscitato tanto scandalo 
-come diffida alle ragazze che sollecitano i “peggiori istinti” degli uomini, provocandoli sessualmente coi loro corpi esposti o rifiutando in nome dell’ “autosufficienza” il ruolo di custodi della casa e dei figli- alla luce di quello che avevo scritto già in passato sulle parentele insospettabili tra l’elogio della femminilità di Karol Wojtyla e il sessismo-razzismo di Otto Weininger, il filosofo viennese morto suicida a 23 anni, che vide nella modernizzazione dei costumi il trionfo della “cultura del coito” e l’ “emancipazione della prostituta” (Sesso e carattere, 1903).
La riduzione della donna a corpo, sessualità, e la sua trasfigurazione in sostanza angelica sono le due facce dello stesso sogno di assolutezza e di perfezione morale che l’uomo ha proiettato sull’altro sesso. Paradossalmente, il denigratore e l’adoratore del femminile parlano la stessa lingua, costruiscono la stessa parabola che, dopo aver spaccato il mondo in due e aver guardato l’abisso che si è incuneato tra cielo e terra, tra le parti disgiunte del divino e dell’umano, si affretta a ricomporlo nell’armonia di un intero: rigenerazione dell’uomo nell’idea perfetta di un dio, dentro la quale la donna scompare, o perché è stata “vinta” (Weininger) o perché è diventata con l’altro “un solo spirito” (Wojtyla).

La “colpa” che viene addossata alla donna è dunque di indebolire lo spirito dell’uomo, il che sembra giustificare il fatto che la punizione, sotto questo aspetto “meritata”, possa essere addirittura la morte. Nel romanzo di Musil, L’uomo senza qualità, Moosbrugger, l’omicida sessuale, uccide “le femmine ridacchianti”, le prostitute, perché mettono in pericolo “i leali discorsi di un uomo serio”.
La “maledizione femminile” può capovolgersi in missione salvifica solo se la donna accetterà di diventare “mezzo” di una “grande opera altrui”, la lotta dell’uomo per dire “sì” a Dio (Wojtyla), o se si asterrà dalle sue intenzioni immorali verso di lui, “rinunciando al coito interiormente e lealmente di propria volontà” (Weininger).

“Quando l’uomo divenne sessuale creò la donna. Che la donna esista non significa dunque altro se non che l’uomo affermò la sessualità. La donna è solamente il risultato di tale affermazione, è la sessualità stessa. La donna è la colpa dell’uomo, è l’oggettivazione della sessualità maschile, la sessualità incarnata, la sua colpa divenuta carne (…) Si sottoporrà la donna all’idea morale, all’idea dell’umanità?Questa soltanto infatti sarebbe emancipazione della donna.” (Weininger)

Quante volte vediamo ragazze o signore mature circolare per strada con vestiti provocanti e succinti? Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre e nei cinema? Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e poi si arriva alla violenza o all’abuso sessuale (lo ribadiamo: roba da mascalzoni) (…) La verità è che l’uomo, il maschio è da sempre violento, non sa trattenere l’istinto, e quindi se la donna lo provoca, lui, o almeno molti, tanti, non si sanno controllare.” (don Corsi, intervista a “Repubblica”, 27.12.2012)

Se alla provocazione sessuale si aggiunge poi l’“arroganza” di voler vivere la propria vita senza dipendere da un uomo, o l’abbandono del ruolo di custode della famiglia, la reazione violenta da parte maschile è agli occhi di don Corsi ancora più giustificata: la vittima si trasforma nell’aggressore.
“Sante” o “puttane”, degne o spudorate, “mezzo” di elevazione dello spirito o di degrado morale, è nello sguardo dell’uomo che si è costruita finora la duplice, contraddittoria “natura” femminile.

Fino a che punto le donne vi si sono riconosciute? Con quali adattamenti, interiori acrobatismi, sofferenze e illusioni hanno creduto finora di poter far fronte all’annodamento perverso di amore e violenza che ha segnato storicamente la relazione tra i sessi? La donna  -si chiedeva Weininger all’inizio del XX secolo- “si deciderà a parlare di sé?”. Oggi, dopo tanti cambiamenti della coscienza e della condizione di vita delle donne, potremmo farci la domanda opposta: accetteranno gli uomini di volgere gli occhi e la parola su di sé, di guardarsi e lasciarsi guardare per ciò che ha significato, in quanto a privilegi ma anche a mancanza di libertà, portare una maschera virile perennemente minacciata dalla potente ombra materna?

Ci si può felicemente “sorprendere” e rallegrarsi dell’inaspettata affermazione di Monti: “Deve cambiare il modo di vedere la donna”. Ci ha fatto sentire  -come ha scritto Dario Di Vico-  “seppure solo per qualche minuto cittadini di un Pese moderno e inclusivo” (Corriere della sera, 24.12.2012). Le porte della polis, a lungo sbarrate per il sesso rimasto a custodia della natura animale degli umani e della loro aspirazione a una divina trascendenza, si sono aperte, le liste elettorali e forse anche i parlamenti vedranno crescere il numero delle “cittadine”. Ma è poi così “diversa” la concezione della donna che entra per la prima volta nell’agenda delle più alte cariche dello Stato? Nonostante le concessioni che vengono fatte all’emancipazione femminile  -come presenza  nel luoghi dove si decide, garanzia di pari opportunità nel lavoro e nelle carriere, sgravio di responsabilità domestiche, ecc.-, le donne non restano pur sempre, nell’edificio storico costruito dall’uomo a sua misura, una “funzione”, un “mezzo” per uno scopo, sia pure nobilitato?

Ci si aspetta che facciano più figli – senza l’aumento della natalità non c’è futuro-, e che siano maggiormente occupate nel lavoro di mercato –un deciso contributo al Pil e una risorsa aggiunta, in virtù del loro diverso modo di gestire il potere (capacità di ascolto, di mediazione, ecc.).
Da un lato, le diaboliche tentatrici di don Corsi, dall’altro le madri e le lavoratrici indefesse dell’agenda Monti: c’è qualcosa di nuovo sul fronte occidentale?

I cambiamenti ci sono, e sono tanti, ma ho sempre pensato che sia buona norma mantenere ferma l’attenzione sulle “permanenze”, i pregiudizi e le abitudini che ci portiamo dentro quasi a nostra insaputa e poco visibili alle analisi di superficie. Anche le posizioni estreme, come quelle di don Corsi, “ci riguardano”. Manifestare perché non si ripetano è importante, ma non basta.

 

pubblicato anche da Gli altri dell' 11 gennaio 2013

 

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